A redimere Raskol’nikov ci pensa Sonja, che di mestiere fa la puttana, santa e salvifica. Lo lava dall’ateismo e dal nichilismo, lo induce a pentirsi, costituirsi, scontar la pena. E arriva la Siberia, che affronteranno insieme.
C’è chi però ha la sua Siberia personale da anni ma pare che non basti. Non ci basta. Alex Schwazer, dopo la prima squalifica per doping, ammessa senza giri di parole, ha perso tutto. Ha lasciato l’Arma, sponsor spariti, Carolina Koster che non aveva molto in comune con Sonja più comprensibilmente vicina al si salvi chi può. S’è pagato gli allenamenti, le trasferte, ha fatto il cameriere, ha lavorato come tutti cercando di riprendere l’agonismo.
Prima di Rio viene fuori una nuova positività ma Schwazer ‘sto giro non molla e dice d’esser stato fregato. A leggere le varie ricostruzioni non è un’ipotesi così assurda.
Oggi Alex Schwazer ha 31 anni e deve guadagnarsi da vivere perché la sua carriera è finita. Ha avuto una bella idea: fare l’allenatore privato. Perché Alex Schwazer, lo ricordo agli sportivi part time, sa marciare da Dio.
E però Alex Schwazer purtroppo non ha capito di non essere in un romanzo russo dell’Ottocento, gli è toccata un’epoca di gogne, violenza verbale mai pesata ma devastante, dove ogni sbaglio diventa motivo di giudizio senza appello, un tribunale messo in piedi a colpi di tweet e like e commenti sotto link di testate giornalistiche che contano gli spiccioli ricavati dai click.
Qualunque sia la pena, non basta mai. Schwazer non può guadagnarsi da vivere facendo ciò che ama. No. La sua Siberia è l’umiliazione costante ed eterna, “vai a pulire i cessi”, “vai a scavare tra le macerie del terremoto senza chiedere nulla”, e commenti simili.
Non è un’epoca gentile. Non ci sono Sonje e gentiluomini. È un’epoca di ferocia, di animi aizzati contro la preda facile.
Muore tutto.