Di tutte le passioni e/o perversioni umane, quella che mi affascina per la sua totale meschinità è l’attenzione e il controllo delle mutande altrui. Se il suddetto controllo si riferisce alla vita sessuale, camminiamo in un campo vecchio come il mondo. Ma troviamo anche moralizzatori di passioni in senso lato, passioni che però non dovrebbero essere giudicate perché, al pari di chi scopa chi e come, si tratta di mutande altrui e la morale comune non esiste tanto quanto.
Il calcio. Il giuoco del calcio.
Possiamo cambiare nazione e cittadinanza, forma del naso e genere sessuale, la squadra del cuore ci resta addosso e si ha la sensazione che lei abbia scelto noi e mai il contrario. Non si cambia squadra, al massimo si abbandona in toto il tifo. A quanto pare, la passione per il calcio è ignorante. Non quell’idea (odiosa) dell’ignorante simpatico sdoganato da certi fenomeni social, però: ignorante nel senso di troglodita, cafona, adatta a subumani, che non fa pensare alle cose importanti che bisogna fare, cistalacrisileguerrelafameelemalattie.
La Revolución.
C’è da fare la rivoluzione e voi e noi, siete e siamo lì a guardare 22 idioti in pantaloncini che corrono appresso a una palla. E cosa ne poteva mai sapere di rivoluzioni Ernesto Che Guevara, che per due settimane allenò una squadra colombiana di campesinos e disperati e che fu orgoglioso di stringere la mano a Di Stéfano e non nascose mai il tifo per la squadra del Rosario Central. E ancor meno ne può sapere il Subcomandante Galeano fu Marcos di ciò che è importante fare e come agire (o almeno provare), che ancora nel 2013 in un comunicato scriveva “yo le voy a los Jaguares de Chiapas, en México, y al Internazionale de Milán, en Italia” (vi lascio comunicato intero originale e traduzione), concludeva con “Sí, ya sé que van a decir que el futbol es el opio de los pueblos y que por qué promuevo la enajenación, la incultura, bla, bla, bla, bla” e chiedeva “Sapete chi è Eduardo Galeano?”
La letteratura.
Quando non ti invitano a fare la rivoluzione, ti invitano a leggere. Perché se non sei uno scioperato che non si preoccupa delle sorti del mondo, sei comunque una capra da stadio. Quando il Sup chiede “sapete chi è Eduardo Galeano?” è consapevole della risposta e Galeano (Eduardo, non il Sup) sapeva cosa pensavano gli intellettuali o presunti tali, di sinistra o presunti tali, circa la sua passione per il futbol. Non ha mai smesso di tentare di far capire alle anime morte (spoiler: citazione letteraria impropria) che il calcio non è solo business e milioni, che il calcio non distrae: il calcio diverte, il calcio è di facile assimilazione, il calcio è poesia, il calcio è universale, lo capiscono tutti, senza caste e lingue. Ma le passioni non si possono spiegare ed è come la fede: o ce l’hai o non ce l’hai, e sempre Eduardo diceva “el fútbol es la única religión que no tiene ateos”. E lui d’altra parte di letteratura cosa ne sa. E che il calcio è poesia ed è possibile metterlo in versi lo pensava pure Alfonso Gatto, foto di Rivera appesa nel suo studio, che di calcio e sport popolare (inteso come schiettamente appartenente al popolo e non solo come fenomeno noto) ha scritto continuamente e ha composto versi sulla malinconia del campionato quasi agli sgoccioli (“I pomeriggi si fanno lunghi/l’aria rabbrividita dagli ultimi freddi/è già luminosa e trasparente dopo le acquate di marzo/c’è una luce di dolce crepuscolo sul campionato”).
Ancor meno ne sa Osvaldo Soriano, che ha praticamente scritto solo di calcio, decine di racconti in cui il futbol era protagonista, antagonista, sfondo, presenza, metafora, dolore, amore, e tutte cose di secondaria importanza tanto da non poter dedicare 90 dei nostri minuti settimanali ai suddetti idioti in pantaloncini. E potrei citare altri ignoranti subumani come Pasolini e Sartre, Camus e Salman Rushdie e Pratolini. Peggiore di tutti, incapace perfino di portarsi a casa un Nobel è Jorge Luis Borges, che ebbe l’ardire di affermare “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio”, quando questa storia del giuoco del calcio andrebbe fermata. Per la revolución e per la letteratura.
Pensavo a tutto questo, mentre leggevo alcuni commenti riferiti all’addio di Totti al calcio, commenti che spaziavano da “non è mica morto” al classico “tutto questo dispiacere per un milionario”. Sorrido, perché accanto all’epica nostalgica fastidiosa dell’eroe, fedele capitano spesso solo davanti al dischetto, c’è pure la retorica pruriginosa di chi vuole insegnarti cos’è la passione, quale è giusta e quale non lo è, cosa conta e cosa no, cosa deve emozionarti e cosa è superfluo. Insomma, il moralizzatore che ci tiene a guardarti nelle mutande.
Prendiamo volentieri in considerazione le vostre lezioni di vita, però dovreste smetterla di guardare noi stronzi che guardiamo 22 idioti in pantaloncini.
Avete la rivoluzione da fare e la letteratura da leggere.