È noto da circa 150 anni il fatto che tutte le famiglie felici si somigliano e ogni famiglia infelice, invece, è infelice a modo suo. In realtà, quello che differenzia ogni singola famiglia, ogni nucleo, è sempre e solo il linguaggio. La felicità è un bene voluttuario e l’infelicità è il collante che tiene insieme le famiglie, ecco perché il lessico famigliare è quello che crea l’unico campo di incontro, l’anello di congiunzione. Claudia Durastanti di linguaggi ne ha almeno tre: la lingua italiana, la lingua inglese, e il lessico che ha creato per poter comunicare con i suoi genitori, sordi. È la mamma di Claudia la protagonista di questo romanzo del ricordo, una madre antisistema perché semplicemente lo ignora, non se ne cura, una mamma che non può rientrare nella dicotomia buona/cattiva, è semplicemente sé stessa nel mondo ovattato e privato di suoni che l’avvolge. È lei che fa nascere Claudia negli Stati Uniti dopo aver mollato un lavoro stabile a Roma, e lì da bambina apprende l’inglese come prima lingua; a 6 anni il viaggio a ritroso verso la Basilicata, dove Claudia deve rimaneggiare la sua conoscenza dell’italiano. E poi, sempre, quell’onnipresente lessico famigliare che Claudia utilizza per spiegare il mondo a sua madre, farle intendere che tutto ciò che legge e vede in tv non sia fiction per permetterle di appassionarsi, è lei il santuario della monogenesi di tutte le lingue di sua figlia. Sullo sfondo resta un padre intermittente, alla perenne ricerca di un’occasionale catarsi, volontariamente incapace di essere un uomo medio e basta. Un rapporto matrimoniale terminato che però regala sempre picchi di rabbiosa passione, un legame mai davvero elaborato e interrotto ma impossibile da far proseguire in linea retta. I viaggi fisici della famiglia, e poi di Claudia adulta, corrispondono alle geografie trasversali dei loro rapporti interpersonali: tra moglie e marito, tra madre e figlia, tra padre e figlia, tra sorella e fratello, e poi gli amici, la relazione della vita, le conseguenze tangibili dell’affettività malsana e mal calibrata. Un’infanzia di cristallo sui tetti, un’adolescenza consegnata ai libri e ai panorami di provincia durante l’inverno e ai rumori della metropoli americana in estate, Claudia assorbe e rigetta e ammansisce esperienze e traumi, si disorienta ma trova nel linguaggio la pacificazione degli eventi.
I genitori di Durastanti sono probabilmente i due personaggi più punk mai descritti nella storia della letteratura italiana: senza alcuna posa, senza alcun manierismo, limitati nel senso comune, sia fisico che di buonsenso, non hanno mai di fatto affrontato una vita adulta propriamente detta, neanche dopo la nascita di due figli. Non hanno provato a ridurre distanze (affettive, sociali, economiche, lessicali, educative) ma hanno fatto in modo che fosse il mondo ad avvicinarsi a loro, lo hanno piegato e ammaestrato, allontanandosene quando ne avevano abbastanza. Due irriducibili dell’individualismo cresciuti nell’epoca più collettiva e aggregante della Storia nazionale, hanno lasciato che i figli mettessero solo radici fragili, rendendoli effettivamente emancipati e abituati al movimento senza preavviso, seppur in modalità irresponsabili.
La scrittura di Claudia Durastanti è colta, ricca, e noi non siamo più così abituati a leggere testi densi di sfumature linguistiche. È lei l’Io narrante, è la voce della sua famiglia com’è sempre stata, è lo spioncino sul mondo e il dizionario dei contrari che trova la via comunicativa in sinonimi per riprodurre in suono il mondo esterno, e tramutare in suono quello silenziato.
Non c’è una alcuna resa dei conti, nessuna rivalsa, nella voce della narratrice; le situazioni più alienanti vengono raccontate come un fatto, come qualcosa di oggettivo, di accaduto, di elaborato.
“Non c’è nessuna violenza nella mia vita che io riesca a ricordare senza ridere”, dice. Bandite l’autocommiserazione, la rabbia, la volontà di affermare i vuoti, di ribadire di essere stata danneggiata. Ha assimilato, curato, corretto.
E oggi quell’assimilazione è diventata una sorta di memoir, una tra le realtà narrative più coinvolgenti degli ultimi anni. Il racconto è inframmezzato da riflessioni sulla politica, la società moderna, il mondo del lavoro, lo status socio-economico, le relazioni sentimentali di co-dipendenza, l’emigrazione, rendendo composita ma coesa la voce dell’autrice; non spezzano il racconto, queste riflessioni, sono anzi una parte integrante, una sorta di sguardo attento al cammino compiuto, partendo dal particolare della propria esistenza e arrivando al generale di una situazione socialmente comune.
Claudia Durastanti è letterariamente una conferma per chi ha già provato l’emozione di leggerla e non potrà che essere una novità fenomenale per chi la scoprirà per la prima volta. Con “La Straniera”, Durastanti ci spinge in un intreccio personale complesso senza un po’ di misericordia ma con molta grazia, con la storia suddivisa come un oroscopo (Famiglia-Viaggi-Salute-Lavoro&Denaro-Amore) per rendere un ulteriore omaggio alla madre, la vera straniera del racconto, appassionata di occulto e astrologia. Ci troviamo tra i borghi lucani e la polvere di Brooklyn senza perdere mai il filo, perché l’autrice spinge ma non spintona, non molla mai il lettore, anche con noi intrattiene un lessico famigliare, il quarto padroneggiato dall’autrice, che ci permette di cogliere il senso e l’essenza.
“Non so che sostanza ci sia nei miei genitori: so che io non ce l’ho. Ogni vantaggio l’ho conquistato e perso con il linguaggio, scambiando una parola con un’altra, persuadendo l’interlocutore con la retorica dei miei sentimenti, e il mio silenzio non è mai ferale. Non ho il loro influsso demonico. Mentre io cercavo di creare un ordine con la scrittura, loro restavano in comunicazione con gli astri superiori e le sostanze ingovernabili, rinviandomi sempre il sospetto che le parole non significano niente se non quando sono letterali e ogni altro residuo è una gran perdita di tempo e senso: la vita si seduce in silenzio, si ipnotizza, e tutto il resto è un fallimento.”
Claudia Durastanti, “La Straniera”, La Nave di Teseo.