Tutto quello che so della vita l’ho imparato dai romanzi russi.
Anzi, meglio: tutto quello che vale la pena sapere della vita, l’ho imparato dai romanzi russi.
Le donne hanno sempre spalle tornite, gli uomini hanno sempre dei bellissimi riccioli.
Il peccato è terribile, mina il fisico e la mente, ma c’è sempre redenzione, c’è sempre la possibilità d’essere felici di nuovo, d’essere perdonati tra baci e lacrime.
C’è sempre un samovar anche nelle case più povere e il contadino è astuto, duro, selvatico ma fedele al padrone, anche quando cerca di fregarlo. L’epilessia colpisce i russi come fosse un raffreddore e se passeggi sulla Prospettiva Nevskij ti capiterà sicuramente un fatto curioso, magari ti ritrovi un naso che ti cammina accanto.
Ad un certo punto, se senti e vivi, devi ammalarti di febbre, febbre morale che annienta il corpo, e devi avere delle visioni precise, che ti permetteranno di capire quanto fai schifo. Ma poi, alla fine “a tutto s’abitua quel vigliacco ch’è l’uomo”.
Si vive in casa di ricchi sconosciuti, si hanno rendite di migliaia di rubli (il più morto di fame non meno di 10.000), c’è il patronimico che è tanto regale ma c’è anche il continuo uso del vezzeggiativo, tenerissimo e altrettanto elegante.
Io sarei Liza Genricova (credo), ma più probabilmente sarei Lizochcka.
A me la febbre morale verrebbe, forse avrei pure lo sguardo luccicante, l’espressione imbronciata, il labbro tremante, una ruga verticale al centro della fronte, capelli raccolti in due bande laterali e fermate sulla nuca da un fermaglio di diamanti (ho imparato anche questo: non sarei una serva e avrei patrimonio, rendite, tenute a Kazan, andrei in campagna, avrei almeno 20.000 anime, ma abiterei normalmente a Pietroburgo, meno soffocante e polverosa rispetto a Mosca).
Canterei un’aria italiana mentre mio fratello suona il cembalo, perché si deve sempre cantare per gli ospiti, si deve sempre andare ad un ballo, ci mancherebbe altro.
Parlerei francese, perché “come si può dire questo in russo?”, e andrei “alla ricerca della mia Tolone”.
I romanzi russi m’hanno insegnato che c’è la bellezza intera e pura, e quella che brilla sotto la spazzatura.
M’hanno insegnato che la bellezza fisica a volte è lo specchio dell’anima, altre volte è lavoro del diavolo.
M’hanno insegnato che il diavolo non vince mai, anche quando ha un occhio verde e uno nero.
M’hanno insegnato cosa è opportuno e cosa non lo è.
M’hanno insegnato che un samovar è proprio necessario, anche se su amazon costa 132 euro, in rubli non saprei.
M’hanno insegnato che alla fine ci salveremo tutti, perché non si salva mai nessuno.
Probabilmente l’unica cosa della vita che valga la pena sapere.